Canaricoltura come terapia;
ornicoltura per mantenersi in forma, ritemprare lo spirito e la mente,
tenere lontano i disturbi dell'età senile vivendo più a lungo.
Non è un
bizzarro bisticcio di parole, ma l'ultima frontiera della medicina psicosomatica. L'uso terapeutico degli animali
da compagnia, battezzato con anglosassone primigenia: "Pet Therapy", è
stato proposto per la prima volta dal neuropsichiatra infantile Boris
Levinson nel 1961, con il lavoro "The dog as co-therapist".
Ulteriori contributi di ricerca, forniti a più riprese da medici e psichiatri di fama, hanno confermato l'intuizione del Levinson e di come gli animali possano effettivamente costituire dei preziosi ausili terapeutici per la prevenzione e finanche la cura
di svariate forme di patologia e disturbi del comportamento; nonché al
fine di ridurre violenza e conflittualità negli istituti di pena, lenire
la solitudine degli anziani, ridestando in loro interesse per la vita.
Naturalmente, quando si parla di uso degli animali
d'affezione con finalità prettamente terapeutiche, non ci si riferisce
solo agli uccelli da gabbia ma anche a gatti, piccoli roditori e,
soprattutto, ai tanto più "umanizzabili" cani. Tuttavia, nell'ormai
vasta letteratura scientifica dedicata all'argomento in parola, vi sono
numerosi riferimenti all'impiego dei nostri beniamini alati.
In sostanza la vicinanza di un animale domestico è in grado di
contribuire al mantenimento di un buon equilibrio psicofisico nell'uomo,
ed alla riconquista di tale prezioso stato di benessere in individui
sofferenti di particolari psicosi.
Non per niente le prime esperienze
di "Pet Therapy", sono state realizzate negli ospedali
psichiatrici. Nel 1792 in Inghilterra lo psichiatra William Tuke del
nosocomio di York Retreat, dispose che ad alcuni suoi pazienti venissero
affidati degli animali
da cortile e rilevò che gli infermi, curando creature assai più deboli e
vulnerabili di loro, acquisivano un maggiore autocontrollo.
Vastissima è stata al riguardo la sperimentazione effettuata dal Levinson negli anni 1961 - 1974. Levinson trovò che gli animali
da compagnia erano utilissimi sussidi terapeutici per bambini con
inibizioni, turbe della parola; come pure nei soggetti autistici con
difficoltà di socializzazione. Nel 1983 Pethers, nel corso di uno studio
statistico condotto in Ungheria, constatò quanto poco frequente fosse
il suicidio in nuclei familiari con presenza di animali d'affezione.
Ai nostri giorni l'uso terapeutico dell'animale da compagnia viene
indicato per gli individui depressi, per quanti vivono in solitudine o
soffrono di stati emotivi di scarsa autoconsiderazione. In tali
circostanze gli animali
possono costituire delle fonti inesauribili, non competitive, di
affettività; vere e proprie "valvole di sfogo" capaci di ridestare, con i
loro ritmi biologici, l'entusiasmo e la voglia di vivere. Autentici
stimolatori di risate, in virtù del proprio repertorio etologico,
condizionante comportamenti che ci sembrano goffi e buffi, alla luce di
una superficiale, ricorrente lettura antropomorfica. Parimenti la "Pet
Therapy" sembra costituire il toccasana per gli anziani soli e
demotivati, ai quali il pensionamento e/o l'emancipazione dei figli
conferisce un immanente senso di inutilità e disinteresse per la vita.
L'introduzione nelle abitazioni di un animale, pur se solo di un canoro
canarino, basta a determinare un sensibile miglioramento dell'umore
dei vegliardi, con positive ripercussioni sulla loro stessa forma
fisica. E' infatti acclarato il ruolo determinante della psiche sul
benessere del soma e - di converso - il pernicioso influsso di stati
depressivi e di autocommiserazione sull'integrità del corpo. Se poi
l'animale da compagnia è un cane, da portare quotidianamente a spasso ad
orari prestabiliti o, magari, un piccolo allevamento di canarini
esigente una costante dedizione: tanto meglio, poiché l'anziano sarà
costretto a compiere con continuità un benefico esercizio fisico, a
discapito della sedentaria "vita in pantofole" e con notevole profitto
del proprio apparato cardiovascolare.
Nel 1975 Mugford e McComisky resero noti i risultati di una ricerca
effettuata nel Regno Unito (East Yorkshire) su persone che vivevano
sole. Il campione statistico era costituito da individui d'età compresa
tra 75 e 81 anni, convenzionalmente suddiviso in nuclei di sei soggetti
ciascuno. Ad un primo nucleo - definito "di controllo" - non venivano
imposte modificazioni del preesistente modus vivendi. Ad un secondo si
metteva a disposizione un televisore ed alcune coppie di Pappagallini
ondulati. Un terzo gruppo veniva dotato del televisore e di piante da
fiore da curare. V'era poi un gruppo con sole piante ed un altro con
soli Pappagallini ondulati. Dalla comparazione dei test psicofisici,
realizzati prima, durante e dopo il periodo di sperimentazione sui
differenti gruppi, si stabilì che gli anziani in possesso delle
ciarliere e policrome Cocorite, manifestavano la forma fisica e psichica
migliore.
Negli USA è stata consentita l'introduzione di animali
domestici in alcune carceri, a partire dal 1978. I detenuti sono stati
autorizzati a tenere in cella degli acquari, o coppie di uccelli da
gabbia. I risultati sono stati assai incoraggianti: diminuivano le
violenze tra detenuti ed i tentativi di suicidio, mentre si stabiliva
una maggiore cooperazione tra reclusi e guardie carcerarie. In USA però
questo genere di esperienza ha avuto un eclatante precedente negli Anni
Venti. Mi riferisco in particolare alla ben nota e singolare vicenda del
pluriomicida Robert Stroud, ergastolano rinchiuso dal 1942 nel
penitenziario di Alcatraz (California), in regime di isolamento, senza
alcuna possibilità di contatto con gli altri reclusi a causa della sua
indole violenta e sanguinaria.
Un giorno lo Stroud, durante l'ora d'aria nel cortile che gli era stato
riservato, rinvenne sul selciato un passerotto agonizzante. Raccolto,
se ne prese cura,
riuscendo a salvarlo. In seguito chiese ed ottenne di poter allevare in
cella alcuni canarini e, da quel momento, Stroud subì una vera e
propria metamorfosi. Quell'uomo rude ed attaccabrighe, autentica belva
umana, si trasformò - quasi d'incanto - in un tenero ed appassionato
cultore della biologia degli uccelli, sino a divenire in pochi anni, un
"birdman" di fama internazionale. Particolarmente versato nello studio
della patologia degli uccelli da gabbia e del canarino, Stroud diede
alle stampe due trattati concernenti questa materia: "Stroud's digest of
bird diseases" e "Diseases of Canaries".
Tali pubblicazioni, in
considerazione dell'origine autodidatta del loro estensore, hanno del
prodigioso per la ricchezza di nozioni scientifiche contenute e la
ferrea logica sperimentale con cui l'autore va alla ricerca di nuovi
rimedi per le più ricorrenti affezioni morbose dei volatili da gabbia;
in un'epoca in cui la stessa scienza veterinaria ufficiale poteva ben
poco nella cura dei volatili ornamentali.
Robert Stroud morì il 21 novembre 1963 nel penitenziario di Alcatraz
all'età di 73 anni, dopo che i suoi trattati di ornitopatologia avevano
fatto il giro del mondo, divenendo a quei tempi dei preziosi classici
della materia. La strabiliante storia di Robert Stroud venne immortalata
su celluloide dal regista John Frankeimer nel film: "L'uomo di
Alcatraz", teletrasmesso più volte anche dalla nostra RAI. Stroud fu
interpretato da un impeccabile Burt Lancaster, che per questa pellicola
ottenne la "nomination" all'Oscar.
Dagli animali
- dunque - e dai nostri policromi e canterini volatili in particolare,
può venire un concreto quanto insospettabile contributo, a beneficio dei
più sfortunati, degli handicappati, dei detenuti; ma pure per quanti -
come noi - sono stati più fortunati dei primi. Canarini "a gogò",
allora... Per un'esistenza più serena, meno ansiosa, la più lunga
possibile! Lo affermano - a parte umoristiche esagerazioni - autorevoli
medici e psicoterapeuti. Al bando certe recenti, semplicistiche teorie,
dal sapore meramente allarmistico, che vorrebbero i nostri uccelli da
gabbia, addirittura, "untori" di terrificanti malanni epocali quale il cancro.
Ogni animale, se sano e mantenuto nella scrupolosa osservanza delle
elementari norme di igiene, non può che giovarci con la sua allegra
vicinanza, donandoci - magari solo per un attimo - l'illusione di aver
riconquistato piccoli lembi di quell'ineffabile ambiente naturale, da
cui proveniamo e del quale siamo stati inesorabilmente privati, con
l'inurbamento ed il mitico "Progresso".